Capitolo V

I corsi di aggiornamento

 

Intanto avevo sempre continuato il mio impegno nel LEND che richiedeva partecipazione a convegni, organizzazione di incontri a Salerno, studio e aggiornamento continuo, redazione di articoli per la rivista. Nel 1973 partecipai al primo convegno del LEND a San Remo. Fu molto interessante e proficuo per i miei studi. Incontrai numerosi insegnanti con i quali condividevo preoccupazioni, successi, speranze. Nel 1973 e 1974 partecipai ad altri corsi residenziali di aggiornamento che si tennero a Montecatini e a Viareggio. Il direttore dei corsi era sempre il prof. Cecioni dell’Università di Firenze. Persona gentile e assai facile al fascino femminile, il prof. Cecioni ci propinava quotidianamente lezioni di linguistica teorica, interessanti ma di scara utilità per il nostro lavoro a scuola. Fu sollecitato, pertanto, a lasciare anche dello spazio a dei gruppi di lavoro. In tal modo il corso diventò molto più proficuo e interessante. Fui nominato capogruppo e cercai di applicare la stessa tecnica che Sirio Di Giuliomaria e Wanda D’Addio usavano con me e con gli altri partecipanti agli incontri del LEND. Coordinare il gruppo e far venir fuori da ogni singolo insegnante tutte le conoscenze che ognuno aveva. All’inizio non trovai semplice questo metodo e a volte mi sembrare un po’ noioso perché avrei voluto dire io in poche parole quello che stentatamente veniva fuori dagli insegnanti in discussioni di ore. Mi resi conto, però, che ognuno dava un suo contributo e che io mi arricchivo sempre di più ascoltando esperienze e opinioni di altri.

Affinai in queste occasioni una tecnica di gestione dei gruppi che mi sarebbe poi risultata molto utile in seguito. Tra l’altro ricevetti i complimenti dei colleghi perché, col mio modo di gestire i gruppi, mi dicevano che avevo evitato loro noiose lezioni di linguistica applicata “allo sbadiglio”!

Nel 1972, 1973 e 1974 seguii, insieme a mia moglie Paola, dei corsi a Napoli presso l’American Study Center di via Andrea d’Iseria. I corsi erano tenuti dalla prof.ssa Mary Finocchiaro, Professor Emeritus dell’Univeristà di New York. Erano a pagamento e si tenevano di pomeriggio. Nonostante la mattina fossimo impegnati con le nostre lezioni a scuola, pregando qualche amica o parente che ci teneva per alcune ore le bambine, Paola ed io andavamo a Napoli, seguivamo il corso e poi tornavamo a casa a Salerno, stanchi ma soddisfatti. Alla fine del corso si tenne un esame e ci fu detto dalla direttrice che l’insegnante che fosse risultato/a primo del corso sarebbe certamente andato negli Stati Uniti in estate a seguire uno stage di perfezionamento completamente spesato.

Alla fine del corso del 1974 sostenemmo gli esami. Risultai primo in graduatoria! Emozionato e felice preparai subito il passaporto e non stavo nella pelle tanto era il desiderio di andare in America. Non c’ero mai stato e, all’epoca, non mi potevo certamente consentire un viaggio e un soggiorno negli Stati Uniti indubbiamente costoso. Ma a giugno, quando furono inviate le convocazioni per la partecipazione allo stage, non ricevetti nulla. Mi informai a Napoli e seppi che non ero stato scelto. Fu per me una grossa delusione e pensai che non sarei più andato in America. Inoltre mi risentii con lo staff dell’American Study Center ritenendo di aver subito una grossa ingiustizia!

Nell’estate del 1974 insieme a Giuliano decidemmo di andare a trascorrere un mese a Londra con le nostre famiglie. Prendemmo in fitto una casa a Shoreditch, nel nord-est della città e partimmo con le nostre due auto. Giuliano aveva una “Diane 6” di colore giallo, 600 di cilindrata, e, insieme alla moglie Rosanna e alla figlia Daniela di appena due anni, mi seguì nel viaggio. Io avevo una “Fiat 128” gialla col tetto nero acquistata di seconda mano e, insieme a mia moglie Paola e alle gemelline Margherita e Roberta di tre anni e mezzo, partimmo alla volta di Londra. Fu una bella esperienza. Abitavano in una tipica casetta inglese. Ricordo che la padrona di casa si chiamava Mrs Koningswinter e aveva un gattino di nome Soty che affidò alle nostre cure per un breve periodo durante il quale si concesse a sua volta una vacanza insieme al marito.

Nel 1975, dopo vari tentativi, finalmente mi fu assegnata una borsa di studio dal British Council per andare a frequentare durante il mese di luglio un corso di aggiornamento della durata di tre settimane, 8-26 luglio, presso l’Università di Durham, nell’Inghilterra del nord. Il corso verteva su un aspetto prettamente linguistico, quindi studio e approfondimento della conoscenza della lingua inglese, e cultura generale anglosassone. Il corso fu molto interessante, soprattutto perché incontrai colleghi di ogni parte del mondo e con loro ebbi la possibilità di discutere problemi, condividere esperienze, preparare possibili interventi didattici. Vivevo in una bella cameretta all’interno del campus universitario e conobbi molte persone di Durham che avevano piacere di incontrare stranieri e discutere con noi un po’ di tutto. Ebbi occasione di visitare un po’ il nord-est dell’Inghilterra, York e la sua splendida cattedrale, Newcastle, l’Hadrian’s Wall, una lunga murata tipo fortezza di circa 80 chilometri costruita dall’imperatore Adriano durante l’occupazione romana di quelle terre. Le persone che conoscemmo erano molto cordiali e simpatiche. Ci dissero che erano chiamati “Geordies” dal resto degli inglesi e venivano generalmente ritenuti molto simpatici e chiacchieroni, a differenza, a loro dire, degli abitanti dell’Inghilterra meridionale.

Ricordo con piacere amicizie con colleghi di varie parti del mondo, Kamel del Marocco, Besnael del Ciad, Hans l’austriaco e Kassis il greco. Per la fine del corso il direttore ci chiese di preparare una serata in cui ogni gruppo etnico avrebbe dovuto esibirsi in qualche modo. Fu nominata una commissione di cui facevamo parte, tra gli altri, io, Hans e Kassis. Fu deciso che avrei dovuto fare il presentatore. Preparammo tutto nei minimi dettagli e la serata fu veramente divertente. Parteciparono molti cittadini di Durham che erano stati invitati per l’occasione. Alcuni amici dei paesi nordafricani si esibirono in danze e canti nei loro costumi variopinti. Hans cantò in inglese una gustosissima versione di Clementine preparata da lui. Altri si esibirono in piccole parti di cabaret. Noi italiani, eravamo cinque o sei in tutto, fummo invitati a cantare. Non fu una grande esibizione perché almeno quattro erano stonati da morire. Pur tuttavia riuscimmo decorosamente a portare avanti la nostra esibizione. Comunque la serata fu bellissima, tutti si divertirono un mondo e, alla fine, molti degli intervenuti mi fecero i complimenti per come avevo condotto lo spettacolo chiedendomi addirittura, “Are you a professional?” (“Sei un professionista?”). Feci molte amicizie in occasione del mio soggiorno a Durham. Conobbi Malcolm Lewis e la sua famiglia. Malcolm insegnava all’università e ci saremmo scritti e rivisti alcuni anni dopo in occasione di un mio viaggio a Durham con la mia famiglia. Poi, Doreen e Jim Harwood che allevavano cavalli in una fattoria non lontano da Durham. Con Dorheen e Jim ci siamo scambiati visite. Loro sono stati a Salerno e a Sorrento ed io una volta andai a trovarli con Paola, Margherita, Roberta, Sirio e sua moglie Maria. Seppi qualche anno fa che Jim era morto. Doreen mi scrisse una lettera accorata e piena d’amore per il marito. Poi, in occasione del viaggio di ritorno, poiché avevo un aereo da Londra, mi fermai a Luton da dove sarebbe partito l’aereo per Napoli, e lì conobbi una coppia che affittava camere, Andy e Elsie Bell. Furono gentilissimi. Ricordo che Andy mi accompagnò in auto all’aeroporto la mattina presto, verso le cinque. Anche Andy e Elsie sono poi stati nostri ospiti a Salerno.

A scuola raccontavo sempre ai ragazzi di queste mie esperienze, mostrando diapositive, filmini in super 8 e materiale vario che ho sempre portato con me dai mei viaggi.

Al ritorno da Durham, Wanda d’Addio mi invitò a partecipare come capogruppo ad un corso di aggiornamento che si sarebbe tenuto nei primi di settembre del 1975 ad Anzio. Accettai con qualche preoccupazione, dato il ruolo che mi veniva assegnato. Insieme ad Annamaria Cirillo di Napoli preparammo una serie di lezioni che avremmo tenuto insieme, e nei primi giorni di settembre andammo ad Anzio. Il corso, ci dissero poi i partecipanti, si rivelò estremamente positivo. Certo Wanda d’Addio era una persona di grande prestigio e preparazione. Inoltre varie lezioni furono tenute da professori estremamente qualificati come Sirio Di Giuliomaria, George Preen, direttore del British Council in Italia, Don Byrne, Raffaele Simone, famoso italianista della scuola di Tullio De Mauro. Annamaria Cirillo ed io demmo il nostro modesto contributo nella preparazione di lezioni e, soprattutto, in un’opera di socializzazione che si rivelò molto importante. Praticamente siamo stati insieme per 15 giorni, dalla mattina alla sera, organizzando anche il tempo libero che in realtà era molto poco, considerato il lavoro cui erano sottoposti i colleghi partecipanti. Ma tutti si sobbarcarono con piacere alle fatiche richieste dal corso. Di sera, a volte, suonicchiavo un po’ il piano, Annamaria cantava benissimo “Palomma ‘e notte” e quasi tutti gli altri si univano al canto.

Nell’ottobre del 1975 fui incaricato dal Provveditorato agli studi di Salerno di tenere un altro corso abilitante per insegnanti non di ruolo. Accettai e, facendo tesoro dell’esperienza maturata nel campo della metodologia e della glottodidattica, organizzai un programma che fu molto apprezzato dai colleghi partecipanti.

Verso la fine del 1975, fui convocato dal direttore del British Council, Mr George Preen, a partecipare ad una riunione a Roma. Insieme a me c’erano Sirio Di Giuliomaria di Roma, Annamaria Cirillo di Napoli, Maria Teresa Zagrelbesky di Torino, Rosanna Ducati di Ferrara e Silvia Baione di Treviso, oltre a due ben noti direttori di sedi del British Council in Italia e cioè, Roy Boardman del British Council di Napoli e Harold Fish del British Council di Milano. George Preen ci illustrò il motivo di quella riunione. Il British Council, insieme al Consiglio Nazionale delle Ricerche aveva deciso di sperimentare un corso di aggiornamento per gli insegnanti di inglese delle scuole italiane dalle caratteristiche del tutto inedite.

Innanzi tutto gli insegnanti inglesi dovevano essere accompagnati da esperti italiani di metodologia dell’insegnamento delle lingue straniere e di glottodidattica. Fui pertanto lusingato di essere stato chiamato a partecipare ad un corso del genere. I corsi sarebbero stati quattro, a Cagliari, Taranto, Perugia e Bergamo.

Mentre illustrava le caratteristiche dei corsi, George Preen, che aveva una notevole somiglianza con Aleksandr Solzenicyn, famoso scrittore russo nonchè vincitore del premio Nobel per la Letteratura nel 1970, nominò varie volte un certo “Siena”. Spesso diceva “Siena told me that…” (Siena mi ha detto che …), “I agree with Siena ….” (Sono d’accordo con Siena su …), “Siena will pay for the hours of lessons.” (Siena pagherà le ore di lezione.)

“Sirio, ma chi è ‘stu Siena?”

“E che ne so. Sarà uno del CNR (Consiglio nazionale delle ricerche).”

“Annamarì, ma tu ‘e capite chi è questo signor Siena?”

“No. Ma aggi’ capitì che è chill’ ca ce rà ‘e sold’!” (Annamaria Cirillo è napoletana!)

Solo dopo vari incontri capimmo finalmente che si trattava del CNR, che pronunciato da George suonava “Siena”!!!

George era da poco in Italia, così quando disse che ognuno di noi avvrebbe raggiunto in auto le varie sedi di lavoro, mi venne un dubbio che immediatamente comunicai a Sirio.

“Sirio, ma George ‘o ssape che a Cagliari ce stà ‘o mare?” Questa battuta fece scoppiare Sirio in una grossa risata e anche molto tempo dopo, quando mi incontrava, mi diceva: “A Mario, ma George ‘o ssape che a Cagliari ce stà ‘o mare?”

Il programma sarebbe stato lo stesso in tutte e quattro le sedi e il corso si sarebbe svolto in quattro sessioni di una settimana ciascuna intervallate nell’arco di alcuni mesi da gennaio a giugno del 1976. Furono decisi i quattro gruppi operativi: io sarei andato a Cagliari insieme a George Preen e a Sirio Di Giuliomaria. Ero lusingato e un po’ spaventato dalla prova che mi attendeva, considerando che avrei dovuto tenere le mie lezioni alla presenza di George e Sirio, ritenuti unanimamente i più bravi e preparati. Tutti i numerosissimi testi di metodologia che avevo studiato fino a quel momento, tutte le esperienze maturate mi sembravano poca cosa. Ognuno di noi tre faceva degli interventi su argomenti concordati in precedenza, sempre però alla presenza degli altri due colleghi che, alla fine, intervenivano, integravano e ravvivavano il dibattito. Gli insegnanti partecipanti, alla fine della settimana di corso, durante la quale erano esentati dalle lezioni, si impegnavano a provare in classe quanto era stato loro presentato. Durante l’incontro successivo con noi venivano discussi i risultati ottenuti ed apportate le dovute varianti e correzioni. Questo metodo di lavoro si rivelò proficuo, motivante e interessante sia per i colleghi partecipanti, sia per noi che tenevamo il corso. Tra i vari argomenti che dovevo trattare mi era stata assegnata anche la presentazione di una lezione tipo secondo il metodo situazionale, allora molto in auge. La lezione iniziava con la presentazione di un dialogo. Avevo già fatto in passato questa presentazione che indubbiamente creava partecipazione tra gli insegnanti ma, nonostante tutto il mio impegno, non riuscivo realmente a farli riflettere soprattutto sugli aspetti psicologici legati alla produzione orale in una lingua straniera da parte di persone che non conoscono quella lingua. Infatti il dialogo era in inglese e gli insegnanti, che dovevano assumere il ruolo degli studenti in classe, conoscevano già l’inglese. Mi venne un’idea. Decisi, cioè, senza dir nulla a Geroge e a Sirio, di preparare una lezione in una lingua sconosciuta. Avevo un collega a Salerno, Antonio Sessa, laureato in giapponese, che insegnava con me alla scuola media. Mi rivolsi a lui per scrivere un dialogo di senso compiuto in giapponese. Scrivemmo questo dialogo che, ovviamente, imparai perfettamente sotto la guida del mio collega, poi Antonio Sessa registrò su cassetta il dialogo, assumendo anche toni di voce diversi per simulare voci maschili e femminili. Mia moglie Paola, che è un’abile disegnatrice, mi preparò una serie di sei cartelloni che illustravano le varie scene del dialogo. Così, con tutto questo e altro materiale, presi l’aereo per Cagliari insieme a Sirio e a George Preen, e ci accingemmo a tenere la seconda settimana di corso. Quando al mattino iniziai la mia presentazione facendo ascoltare la cassetta in giapponese, George mi guardava sbalordito, Sirio pensieroso e sorridente, e tutti i colleghi non potettero più ascoltare con sufficienza, ma furono costretti a far ricorso a tutte le loro abilità per cercare di capire il dialogo, ripetere le battute, rispondere alle domande e scambiarsi tra di loro le battute. Alla fine tutti si scambiavano le battute del dialogo in giapponese. Erano stati finalmente messi nella stessa condizione degli studenti che per la prima volta affrontano lo studio di una lingua straniera. Fu un grande successo e ricordo, tra i vari commenti, quello di Sirio.

“Quello che ha fatto Mario è molto interessante. Ma bisogna fare attenzione su un punto: Mario è un insegnante così bravo che riesce ad insegnare anche quello che non conosce!”

Nel 1977 il British Council mi assegnò una borsa di studio per frequentare un corso di metodologia dell’insegnamento dell’inglese come lingua straniera e linguistica applicata della durata di 10 settimane, presso l’Ealing Technical College di Londra, dal 15 aprile al 2 luglio 1977. Il corso era estremamente professionale e i partecipanti, che alla fine conseguivano un diploma, diventavano a loro volta dei formatori. Eravamo dodici insegnanti italiani già con un’esperienza di formazione – molti di noi erano impegnati nel LEND -, o che avevano contribuito con articoli a riviste di metodologia o che avevano pubblicato già testi di didattica o inerenti l’insegnamento della lingua inglese. Personalmente avevo scritto alcuni articoli per la rivista “Lingua e Nuova Didattica” e avevo appena pubblicato nel febbraio dello stesso anno, insieme a Giuliano Iatorno, “A Song-Book of Folk and Pop Music”.

Il corso si rivelò molto impegnativo: alle lezioni che si tenevano dalle ore 10 alle ore 17, con una interruzione di un’ora per la colazione, seguivano ore di studio e di lavoro di gruppo che svolgevamo nella nostra pensione in Grange Road. La sera, a volte, andavamo a mangiare qualcosa fuori. Spesso rimanevamo nelle nostre camere a consumare un pasto frugale data la stanchezza, la mancanza di tempo e la carenza di quattrini! Due o tre volte, stanchi del cibo inglese, organizammo una cena tutti insieme con prodotti che alcune colleghe avevano fatto venire dall’Italia: parmigiano, tagliatelle, sugo, olive e vino in abbondanza. Ma, nonostante, il lavoro duro e il cibo scadente, il corso si rivelò estremamente professionalizzante. Ho sempre ringraziato mia moglie Paola che mi ha consentito di allontanarmi da casa per dieci settimane, considerato che in quella occasione si è accollata il durissimo lavoro di andare a scuola a svolgere il suo lavoro di insegnante di inglese e, allo stesso tempo, badare alle nostre gemelline Margherita e Roberta che avevano appena compiuto 6 anni. Durante le 10 settimane trascorse a Ealing ho studiato, ho partecipato a varie attività, ho conosciuto personaggi del mondo della metodologia e della glottodidattica, come Brian Abbs, col quale poi avrei scritto un libro, e, soprattutto, ho lavorato intensamente con colleghe molto preparate. Ricordo innanzi tutto Annamaria Cirillo, che oltre ad essere preparatissima, si rivelò anche molto equilibrata a tenere insieme persone diverse obbligate a lavorare insieme per tante ore e per tanto tempo. Sono occasioni in cui inevitabilmente vengono fuori aspetti caratteriali non sempre concilianti, irritazioni, piccole gelosie sul lavoro, mancanza di autocontrollo. Annamaria sapeva sempre come smussare, limare, aggiustare e guidare con serentità e fermezza tutti noi. Poi, Rosanna Ducati, Maria Teresa Calzetti, poi presidente del LEND, Anna Flamini, Silvana Fachin (con un cognome terribile per una persona che lavora in ambiente anglofilo!), Antonia Ferrante, Edoardo Casini, Luisa Pantaleoni, Maria Teresa Zagrelbesky, Silvana Bettini e una certa Laura di Sassari che sembrava una monaca.

Una delle prove più difficili che dovemmo affrontare fu il microteaching. Si trattava di preparare una parte di una lezione della durata di circa dieci minuti, che poteva essere la presentazione di un dialogo, una lettura, una serie di esercizi, un’attività di ascolto o altro, poi andare in una classe di circa 40 indiani o pakistani e tenere la lezione che era stata preparata. Tutto questo sotto delle luci molto forti perche la lezione veniva ripresa con telecamere per poterla discutere, in un secondo momento, col professore all’università. Per molti fu un’esperienza scioccante. Alcuni addirittura si rifiutarono. Io avevo previsto che l’attività era complicata, appunto per la presenza delle luci e delle telecamere che alteravano una vera situazione di classe. Perciò insistetti con le colleghe del gruppo di cui facevo parte, cioè Annamaria Cirillo, Anna Flamini e Maria Teresa Calzetti, sul fatto che non solo dovevamo preparare bene le varie parti che ognuno di noi avrebbe poi svolto nella classe di pakistani, ma provare ripetutamente la lezione simulando la situazione in cui poi ci saremmo trovati. Ricordo le ore passate a provare e riprovare, con l’orologio su un tavolo, per abituarci a fare la parte di lezione assegnataci nei dieci minuti prescritti. Il nostro impegno fu premiato perché, quando ritornammo all’università dopo aver fatto la lezione ai pakistani e il professor London fece scorrere sullo schermo il filmato della lezione, mentre altri furono criticati per il loro comportamento in classe e per le tecniche usate, il nostro gruppo fu riconosciuto come il più bravo. L’unica critica, se così si può dire, che mi fece London fu, “Mario buldozes the students!” (“Mario travolge gli studenti come un buldozer!”). Ma la mia soddisfazione più grande fu quando seppi che, l’anno successivo, nel commentare lezioni simili fatte da altri formatori italiani, tra cui il mio amico Giuliano, alla fine della discussione, London mostrò il video dell’anno precedente in cui io facevo la mia attività con i pakistani e disse a tutti i partecipanti che la lezione fatta da me poteva essere considerata una specie di lezione modello!

Comunque il soggiorno a Ealing non fu solo studio e fatica. Ci furono grossi momenti di relax, non solo per le cene organizzate in gruppo, ma anche per altre attività simpatiche e riposanti, almeno per la mente.

Il sabato, ad esempio, andavo a volte a vedere delle partite di calcio nel quartiere chiamato Shepard’d Bush, non lontano da Ealing. Lì giocava il Queen’s Park Rangers, allora nella Premier League, la serie A inglese. Ero diventato tifoso del Queen’s Park Rangers. Vidi il Liverpool con Kevin Keegan, all’epoca pallone d’oro, il Manchester United, il Tottenham, l’Arsenal. C’erano diversi derby perchè diverse squadre di Londra erano in serie A. Ricordo i canti che i tifosi del Queen’s Park dedicavano a quelli del Tottenham, canti beceri come, purtropo avviene dovunque.

Sulle note di “My Bonnie”, ad esempio, cantavano questi versi:

”If I had the wings of a sparrow,

If I had the arse of a crow,

I’d fly over Tottenham tomorrow,

And shit on the bastards below!”

Non traduco per pudore. Solo chi conosce l’inglese capirà!

Avevo un amico, Ted Hackett, poi scomparso, preside di una scuola elementare, che di sera si occupava dell’organizzazione del lavoro del personale del teatro “Royal Festival Hall”. Seppi da lui che sarebbero venuti Ella Fitzgerald e Count Bessie e che lui mi avrebbe procurati due biglietti. Con lo spirito estremamente democratico che era sempre presente nel nostro gruppo, riferii a tutte le altre colleghe e all’unico collega, Edoardo Casini, della possibilità di andare a teatro a sentire e vedere Ella Fitzgerald e Count Bessie, ovvero due mostri sacri del jazz. Fu deciso che un biglietto spettava a me perché Ted era a me che lo regalava, mentre per l’altro biglietto fu tirato a sorte il nome di Anna Flamini. Così la sera dello spettacolo Anna ed io andammo al Royal Festival Hall a sentire un concerto memorabile.

In un’altra occasione seppi, sempre da Ted Hackett, che al Royal Festival Hall ci sarebbe stato il maestro Herbert Von Karayan che avrebbe diretto la London Philarmonic Orchestra. Un evento eccezionale. Ted mi procurò, ovviamente a pagamento, 12 biglietti, così tutti e dodici andammo al concerto. Le signore vestite elegantemente ed io ed Eduardo un po’ meno, ma comunque con giacca e cravatta. La serata fu memorabile per tutti noi perché il teatro era elegante, le musiche furono deliziose, i musicisti bravissimi, il maestro Von Karayan diresse in maniera magistrale, anche se era un tipo un po’ scontroso e, soprattutto, nell’intervallo una voce annunciò che nel teatro erano presenti 12 insegnanti italiani esperti di metodologia dell’insegnamento della lingua inglese. Tutto il teatro ci applaudì e noi tutti e 12 in piedi, imbarazzati, sorpresi, ma felici! Era stato Ted Hackett ad organizzare il tutto.

La mattina mi alzavo presto e andavo a correre per una mezz’ora nel parco vicino casa, l’Ealing Common. Conobbi altre persone che correvano. Dopo un paio di settimane, alcuni di questi nuovi amici corridori venivano a chiamarmi e correvamo insieme. Alcune sere uscii con loro e conobbi nuovi pub e alcuni jazz pubs, cioè pubs dove, in alcune sere della settimana si esibivano piccoli gruppi che suonavano il jazz. Uno particolarmente simpatico era lo “Stanhope Jazz Pub”, ora scomparso, a Gloucester Road. In quel periodo, ogni giovedì si esibiva con la sua band un trombettista molto bravo che tra i suoi pezzi migliori aveva “C’est maguifique”. Questo pezzo mi piaceva molto e a volte, offrendo una birra al musicista, chiedevo il bis del pezzo. Dopo due o tre settimane accadde che, appena entravo nel pub, il trombettista mi vedeva e attaccava “C’est magnifique”, ben sapendo che s’era guadagnata una birra.

Erano occasioni per conoscere meglio gli inglesi, almeno alcuni rappresentanti di questo popolo, oltre che luoghi interessanti difficili da scoprire per degli stranieri.

Un’occasione molto simpatica che creava un’atmosfera di amicizia e di relax era la colazione del mattino. Quando tornavo dall’oretta di corsa, facevo la doccia e poi scendevo giù nella sala colazione, dove trovavo le altre mie colleghe generalmente già sedute che facevano colazione. La cosa che suscitava piccole simpatiche proteste tra le colleghe era che quando arrivavo io le due vecchine che preparavano la colazione si dedicavano con solerzia a me, mi servivano a tavola, mi invitavano a prendere delle particolari marmellate che preparavano loro stesse, mi dedicavano tante piccole attenzioni perché, dicevano, io ero andato a correre, ero stanco, e dovevo essere servito bene. Si possono facilmente immaginare i commenti di Annamaria Cirillo e delle altre amiche che, invece, dovevano servirsi da sole, dovevano chiedere se a volte si poteva avere un qualche cosa di speciale e, insomma, venivano trattate con garbo ma con un comportamento di routine e non di grande simpatia!

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