Capitolo I

Lʹinglese viene attivato

 

1970. Gennaio. Mattina piena di sole. Scuola Media ʺGiovanni XXIIIʺ, quartiere Mercatello, Salerno. La scuola è ubicata in un edificio per civili abitazioni. Lʹentrata principale è costituita da una porta saracinesca a serranda, simile allʹentrata di un negozio, che dà su una stretta rampa di scale. Ragazzine e ragazzini del quartiere ‐ introiti medio‐bassi di impiegati e operai, piccoli commercianti ‐ sono assiepati nelle camere usate come aule scolastiche. Vani che, nel migliore dei casi, hanno unʹampiezza di 5mq x 5 mq. Attrezzatura didattica: lavagna dʹardesia, in molti casi mezza rotta o con pezzi mancanti. Il gesso scarseggia e va usato con parsimonia. Alle 10 circa, la vita scorre normalmente nella Scuola ʺGiovanni XXIIIʺ. La professoressa Amendola, molto precisa, colta, ligia al dovere, rigorosa con se stessa e con i suoi familiari, cerca con impegno di far passare lʹidea del ‘predicato verbaleʹ. Le povere anime dodicenni si applicano, ascoltano, ma poi le menti cominciano a volar via, inseguono sogni, progetti, percorsi personali molto spesso fantastici e qualche volta reali.

ʺIl predicato è quella parte della proposizione che indica ciò che si dice del soggetto. Ad esempio, ‘Franco dorme.ʹ ‘Dormeʹ è il predicato perché ci dice cosa fa Franco. Chiaro? Abbiamo il predicato verbale che è costituito da una forma verbale e il predicato nominale che è costituito da una forma nominale e da una copula.ʺ

ʺProfessoressa, la copula?ʺ ʺIgnorante, quante volte abbiamo ripetuto cosa è la copula. Si studia alle elementari. Questi maestri non fanno niente. Ai miei tempi, tutti i bambini conoscevano queste cose. Avanti. Chi sa cosa è la copula? Nessuno lo ricorda. Allora, Maria, cerca la parola sul dizionario.ʺ Maria prende lo Zingarelli dallʹarmadietto e cerca la parola ‘copulaʹ. ʺEcco, professoressa. Copula. Accoppiamento, congiungimento.ʺ ʺMa non è questo il significato che vogliamo noi. Vai avanti.ʺ ʺCoito, amplesso.ʺ ʺMaria, ma che dici? Sei impazzita?ʺ ʺ Signò. Stà scritto ccà!ʺ Dal corridoio, delle voci che sembrano cantare accompagnati da qualche strumento musicale distolgono fortunatamente lʹattenzione di tutti dalla copula. ʺCosa succede?ʺ, urla la professoressa, e apre la porta dellʹaula. Nel corridoio il preside, visibilmente alterato, corre verso la II B, apre la porta e davanti ai suoi occhi appare una scena molto insolita in unʹaula scolastica, almeno nel 1970. Lʹinsegnante di inglese, professore Papa, seduto sulla cattedra, suona la fisarmonica e tutti i ragazzi cantano in coro ʺSheʹll be coming round the mountain when she comes ...ʺ. ʺProfessore, ma che sta facendo? Eʹ impazzito?ʺ ʺNiente affatto. Faccio lezione di inglese.ʺ ʺLezione di inglese?ʺ ʺSi, abbiamo imparato un particolare tipo di futuro ed ora ci esercitiamo con questa

canzone che contiene diverse battute col futuro. Vuole ascoltare, preside? Ragazzi, facciamo sentire la canzone al preside. One, two three, four. Sheʹll be, ecc...ʺ ʺSi, bè, professore..., ma disturbate le altre classi.ʺ ʺMi spiace, ma ogni tanto sentirete cantare, anche perché stiamo preparando uno spettacolo per la fine dellʹanno con i ragazzi che parlano e cantano in inglese.ʺ

Ho sempre creduto nella straordinaria forza del canto per motivare i ragazzi e coinvolgerli nello studio della lingua inglese. Ho iniziato ad insegnare nel 1962 ad Amalfi, 10 ore allʹIstituto Tecnico e 8 ore al Liceo Ginnasio. Dopo pochi anni mi convinsi che noi insegnanti possiamo insegnare poco; possiamo, però porre la basi affinchè lʹapprendimento abbia luogo. Lʹapprendimento è un fatto strettamente personale. Quando si verifica, avviene in momenti diversi e con modalità diverse in ciascuno di noi.

I programmi di lingua inglese per gli Istituti tecnici negli anni ʹ60 prevedevano lo studio dellʹinglese commerciale, con stesura delle relative lettere commerciali e lo studio della storia e della geografia della Gran Bretagna. Argomenti tutti abbastanza noiosi, specialmente lʹinglese commerciale. Tra lʹaltro, noi insegnanti laureati in lingua, non avevamo mai studiato lʹinglese commerciale allʹuniversità, pertanto era un argomento che dovevamo prima studiare a casa e poi andare a presentare a scuola. Quando si dice i collegamenti scuola ‐ università! A questo si aggiunga che nei favolosi anni 60 i laureati in lingue straniere non erano molti e, pertanto, con una decisione assolutamente incomprensibile dei governi dellʹepoca, lʹinsegnamento delle lingue veniva affidato a giovani laureati in legge! Infatti questi insegnanti erano poi in grado di applicare tutte le leggi della difesa per fronteggiare lʹaccusa che veniva loro mossa secondo la quale ignoravano la materia che insegnavano!

ʺRagazzi, qui bisogna dare un senso a quello che facciamo. Innanzi tutto girate un poʹ tra gli uffici di Amalfi e degli altri paesi della costiera e cercate di scoprire chi invia lettere commerciali in inglese e, se possibile, procuratevene qualche copia.ʺ Il fax non esisteva ancora. ʺProfessore, negli alberghi sono molto diffuse lettere di prenotazione e di conferma della prenotazione.ʺ

ʺIo ho trovato due ditte che esportano il limoncello un poʹ dappertutto in Europa. Ho reperito diverse lettere in inglese che riguardano lʹordinazione di una certa quantità di limoncello, il costo, la richiesta di uno sconto per un certo quantitativo, le varie risposte delle ditte, ecc.ʺ

ʺIo sono andata al porto di Salerno e ho scoperto alcune cose interessanti. Lettere delle ditte di trasporto, documenti che devono accompagnare la merce. Solo che non mi hanno voluto dare copia dei documenti!ʺ

ʺBenissimo. Ragazzi avete fatto un buon lavoro. Cercherò anchʹio di procurarmi documenti autentici. Poi faremo così. Siete 24 in III A. Formeremo 4 gruppi di 6 persone.

Ogni gruppo rappresenterà unʹazienda o un ufficio. Ogni azienda avrà il direttore commerciale, la segretaria, il responsabile del marketing e altri tre ruoli che individueremo. Unʹazienda sarà quella che produce il limoncello. Unʹaltra azienda si occuperà dei trasporti. La terza azienda è unʹazienda britannica importatrice di limoncello. Il quarto gruppo sarà lʹufficio che dovrà rilasciare tutte le certificazioni per far viaggiare il limoncello dallʹItalia alla Gran Bretagna.ʺ

Il libro di testo era una classica grammatica di inglese, divisa in capitoli: lʹalfabeto fonetico internazionale, suoni consonantici, suoni vocalici, dittonghi, lʹalfabeto inglese, il nome e lʹarticolo, lʹaggettivo, il verbo, ecc. Ogni capitolo introduceva una regola, ovviamente in italiano. Seguivano alcuni esempi. Poi esercizi di traduzione dallʹinglese in italiano e dallʹitaliano in inglese nei quali veniva applicata la regola appena studiata. Era il famoso metodo grammaticale‐traduttivo. Lʹaccento era posto solo sulle regole e sulla traduzione di frasi. La lingua orale, così complessa e così difficile, veniva completamente ignorata. Le attività che si svolgevano a scuola erano sempre le stesse e si ripetevano con sistematicità. Lʹappello, lʹinterrogazione ‐ lo studente, in italiano, spiegava la regola appena studiata, poi leggeva le frasi tradotte a casa ‐, la spiegazione di una nuova regola, lʹassegno per la volta successiva: due, tre, quattro esercizi da tradurre.

ʺOggi siete stati insopportabili quindi, per punizione, studiate tutto il capitolo sul genitivo sassone e fate tutti gli esercizi!ʺ

ʺMa professore, sono otto esercizi!ʺ ʺNon mʹimporta niente. Così imparate!ʺ

In una situazione del genere, far lavorare i ragazzi in gruppo, renderli partecipi dellʹazione didattica, farli diventare attori e non ascoltatori annoiati e disinteressati, rappresentava una vera rivoluzione. Ci fu una specie di passaparola e anche le altre classi mi chiesero di fare lo stesso. Portai a scuola anche giornali inglesi e americani dove si potevano leggere annunci pubblicitari di vario genere, comprese vacanze in Italia e richieste di lavoro part‐time. Tutti i ragazzi erano invitati ad usare lʹinglese quando la simulazione prevedeva una conversazione anche telefonica con inglesi o americani. Allʹinizio tutti, anche i più bravi, erano impacciati, facevano numerosi errori, ma non li riprendevo, anzi li incoraggiavo a proseguire. Durante queste attività giravo tra i gruppi, ascoltavo, intervenivo quando mi veniva richiesto, soprattutto per fornire vocabolario adeguato. I risultati furono sorprendenti, sul piano dellʹapprendimento in generale, ma soprattutto sul piano della motivazione. Assolutamente inesistenti i problemi di disciplina. Introdussi unʹaltra novità. I ragazzi della V Classe, a turno, venivano nelle classi I e II e spiegavano ai ragazzi più piccoli alcune regole grammaticali, conducevano le esercitazioni e le attività. Venivano così responsabilizzati.

Rimasi allʹIstituto Tecnico di Amalfi quattro anni, fino al 1966. Nel 1963 feci anche da preside, attività professionale che decisi di non ripetere mai più. Furono quattro anni in cui feci grande esperienza umana e didattica. Gli studenti che sostennero gli esami di stato

nel luglio del 1966 erano stati miei alunni per quattro anni, ed ebbero tutti risultati molto lusinghieri nellʹesame di inglese, tanto che la professoressa, una collega che veniva da Verona, volle conoscermi e complimentarsi con me. Mi disse che non le era mai capitato che tutti i componenti di una classe si esprimessero in inglese allʹesame di stato, naturalmente con tutte le differenze inevitabili tra i vari studenti, da chi si mostrava sicuro di sé e conversava con disinvoltura a chi si esprimeva con una certa difficoltà.

Mentre insegnavo ad Amalfi decisi di affrontare lʹesame di abilitazione allʹinsegnamento unitamente al concorso a cattedra. Erano esami molto difficili e solo due o tre colleghi a Salerno erano riusciti a superarli. Parlando con questi colleghi ed esaminando attentamente il programma di esami ai concorsi, mi resi conto che solo con la mia preparazione universitaria non sarei mai riuscito a superare gli esami. Nel 1963, mi iscrissi alla Cambridge School, diretta da Peter Zobel, un simpatico inglese che, non so come, era venuto a Salerno dove si era sposato, ed aveva fondato una scuola di inglese in via dei Mercanti. Dopo alcuni mesi durante i quali seguii un corso di inglese facendo pratica essenzialmente di lingua orale, discussi con Mr Zobel la possibilità di un corso mirato a superare lʹesame scritto del concorso‐abilitazione che consisteva di due prove per la scuola media e di tre prove per la scuola superiore. Per la scuola media era previsto un dettato e una traduzione; per la scuola superiore, un dettato, una traduzione, e una composizione scritta su un argomento che poteva essere o di carattere letterario o di cultura generale. Io volevo prepararmi per tutti e due gli esami e così pure altri due colleghi, Ada Petracca e Sergio Capone.

Dʹaccordo con Peter Zobel e con i due colleghi, organizzai la preparazione secondo il seguente programma. Tre volte alla settimana, di pomeriggio, per circa due ore, andavamo alla Cambridge School, dove Peter Zobel ci faceva esercitare innanzi tutto a fare dettati; questa attività prendeva circa 45 minuti considerando che i brani che Peter dettava erano abbastanza lunghi e venivano letti tre volte: la prima volta ascoltavamo soltanto, la seconda volta cercavano di scrivere il testo che ci veniva dettato e, la terza volta, ascoltavamo cercando di correggere eventuali errori o di inserire alcune parole che avevamo tralasciato di scrivere perché non erano state capite. Alla fine insistetti affinchè discutessimo con Peter gli errori fatti e, poi, completassimo il testo che lui ci rileggeva per la quarta volta per farci rendere conto di quello che non avevamo capito. Nella seconda parte della lezione, sempre di 45 minuti, Peter ascoltava e correggeva le versioni in inglese di alcuni brani che avevamo tradotto. A volte i brani erano scelti da noi, a volte li prendevo dalla rivista ʺLe Lingue del Mondoʺ alla quale ero abbonato. Tra lʹaltro, a scadenza mensile, sulla rivista veniva pubblicata la traduzione del brano presentato un mese prima. Spesso confrontavamo e discutevamo con Peter le nostre traduzioni con quelle pubblicate sulla rivista oltre, naturalmente con quelle che erano state le sue correzioni. Nella terza parte della lezione, infine, Peter doveva ascoltare per circa 30 minuti me e/o gli altri due colleghi che parlavamo di letteratura ‐ un autore, un periodo storico, ecc. Peter seguiva su un testo di letteratura o su appunti che avevo preparato in anticipo. Questa

esercitazione risultò particolarmente importante sia per la preparazione alla prova scritta di composizione, sia per superare la prova orale perché ci esercitavamo a parlare di letteratura inglese con una certa disinvoltura. Ovviamente durante le due ore di lezione usavamo soltanto lʹinglese.

Allo stesso tempo, insieme a Sergio Capone, e prima di affrontare le prove scritte, ci preparavamo già alla prova orale, perché considerammo che il tempo non sarebbe stato sufficiente. Io e Sergio ci vedevamo due pomeriggi alla settimana per studiare insieme letteratura e storia della Gran Bretagna. Sergio era molto sensibile ai fondoschiena ben modellati di alcune signore e signorine di Salerno e, quando andavamo a spasso e ne vedeva uno particolarmente attraente, metteva in pratica la sua conoscenza delle ʺquestion tagsʺ, caratteristiche costruzioni della lingua inglese, dicendo, ʺMario, interesting, isnʹt it?ʺ

Comunque lʹimpegno profuso nello studio fu ben ripagato perché superammo brillantemente la prova scritta e, quindi, ci dedicammo poi esclusivamente alla preparazione della prova orale. Mi resi conto che mi mancava ancora qualcosa per affrontare con sicurezza la prova orale. Non conoscevo direttamente la realtà socio‐culturale del popolo di cui studiavo la lingua. In pratica, non ero mai stato in Inghilterra. Nellʹestate del 1964 andai per la prima volta a Londra viaggiando in treno. Mi ero iscritto ad un corso di lingua e cultura inglese di 4 settimane presso lʹʺEuropean Language and Educational Centreʺ di Forest Hill. La quota versata comprendeva, oltre alla iscrizione al corso, anche lʹalloggio in mezza pensione presso una famiglia inglese. Prima della partenza, la segreteria della scuola mi inviò numerose istruzioni che riguardavano lʹabbigliamento da portare con me, le indicazioni su come raggiungere lʹindirizzo della famiglia presso cui sarei stato ospite pagante, la scuola, i mezzi di trasporto londinesi e il cambio della valuta. Nel 1964 in Inghilterra non era ancora stato introdotto il sistema decimale, pertanto era abbastanza complicato fare conti con la sterlina che era divisa in 20 scellini e ogni scellino era diviso in 12 pence!

Così conobbi le aringhe affumicate offertemi qualche volta a colazione dalla signora Bennet, la mia padrona di casa, gli hot dogs, i fish ‘nʹ chips, gli hamburgers, i bus rossi a due piani, la metropolitana di Londra, i pub con le loro insegne caratteristiche, le casette tutte uguali, con i giardini e i camignoli a parallelepipedo, una società multietnica, i parchi, i cani che convivevano con i passanti senza ringhiare o abbaiare! Mi resi anche conto di come la realtà fosse molto diversa da quella stereotipata spesso rappresentata nei brani di lettura tradizionali che si trovavano nei libri di testo. La tipica colazione inglese, ad esempio, a base di pancetta e uova strapazzate o fritte, fetta di pane fritto, salsiccia e pomodoro bollito, viene ancora servita, a richiesta, negli alberghi. A casa propria, gli inglesi al mattino prendono un toast e un caffè, oggi molto più diffuso del tè. Solo al sabato o alla domenica si concedono una colazione più sostanziosa, considerato che ci vuole abbastanza tempo per prepararla. Gli inglesi sono freddi e non familiarizzano facilmente? Ho conosciuto persone simpaticissime con le quali siamo diventati amici, altre insopportabili e boriose. Persone

gentili negli uffici e alcune da schiaffi. Ma non è così dappertutto? Credo che molti falsi chichè culturali ci vengono passati da turisti occasionali che vanno in Inghilterra per una settimana, non sanno parlare inglese, hanno la pretesa di capire e, ovviamente, danno interpretazioni personali a gesti e parole.

Rimasi in Inghilterra un mese e lʹesperienza fu notevole. Ovviamente avevo solo cominciato a scoprire un mondo nuovo che mi riservai di approfondire nel futuro se ne avessi avuto lʹopportunità.

Al mio ritorno continuai a studiare per gli esami orali, facendo tesoro anche di altri testi di civiltà che avevo acquistato a Londra. Nel 1965 superai tutti gli esami. Lo studio, a questo punto, era diventato meno pesante di quanto fosse stato in passato e cominciò a prendere una parte costante nella mia giornata. Leggevo, preferibilmente in inglese, di tutto. Ero abbonato ad alcune riviste specializzate e cominciai ad interessarmi sempre di più alla didattica dellʹinsegnamento. Particolarmente mi affascinava tutto quello che riguardava la psicologia dellʹapprendimento.

Nel 1966 fui trasferito allʹIstituto Tecnico ʺDe Martinoʺ di Salerno, in via Gelsi Rossi. In questo istituto rimasi due anni e continuai nella mia ricerca di un modo di insegnare che coinvolgesse tutti i ragazzi e desse risultati soddisfacenti. Cercai di migliorare le attività didattiche che avevo svolto ad Amalfi. Si svolsero diverse gite scolastiche nei dintorni e colsi lʹoccasione per preparare i ragazzi ad illustrare, in inglese, quello che andavano a visitare. Interpretando il ruolo di guide turistiche, i ragazzi illustravano, a turno, i templi di Paestum, gli scavi di Pompei, il Duomo di Salerno, gli arsenali di Amalfi. La preparazione veniva fatta in classe, dopo che i ragazzi avevano reperito materiale e documentazione di vario genere. Un paio di quegli studenti del 1966/68 sono diventati realmente guide turistiche!

Nel 1968 passai di ruolo alla scuola media e mi fu assegnata come sede la Scuola Media di San Cipriano Picentino, in provincia di Salerno. Non andai con molto entusiasmo. Lʹimpatto con ragazzini più piccoli, alcuni ancora bambini di 10 anni, non fu dei più semplici. Le attività che avevo svolto fino ad ora con entusiasmo non potevano essere applicate a ragazzini così piccoli. Poi, pian piano, cominciai a capire che non era lʹattività in se stessa che aveva avuto successo, ma una metodologia della partecipazione e del coinvolgimento che contrastava con la metodologia tradizionale dellʹimposizione. Lʹinsegnante non più visto come depositario del sapere che, a volte con prosopopea, a volte con sufficienza, trasmetteva questo ʺsapereʺ ai poveri alunni ignoranti, ma lʹinsegnante considerato persona colta che aiuta a ʺscoprireʺ quello che bisogna imparare, lʹinsegnante facilitatore e guida che opera in base ad un principio pedagogico fondamentale secondo il quale tutto quello che è frutto di scoperta è molto più duraturo nelle nostra menti di quello che ci viene trasmesso oralmente da altri.

Portai a scuola canzoni tradizionali di Natale in inglese: Jingle Bells, Silent Night, White Christmas. Allʹepoca le scuole non avevano registratori. A casa avevamo solo registratori

a nastro e non a cassetta. Anche alla scuola media i libri di testo erano abbastanza simili a quelli delle scuole superiori. Regole, esercizi, brani da tradurre. Cominciavano ad apparire alcune canzoni, ma solo come testi scritti.

Portare a scuola, pertanto, il mio registratore ʺGelosoʺ a nastro, far ascoltare le canzoni, illustrare e far comprenderne i testi, invitare i ragazzi a cantare in coro, rappresentava unʹazione molto audace in un mondo scolastico abituato ad attività tranquille di routine quotidiana, dove il tempo parola era monopolizzato dallʹinsegnante. Quando mi vedevano girare col mio registratore, molti colleghi solevano schernirmi o addirittura considerarmi una specie di lavativo che non aveva voglia di lavorare e, perciò, perdeva tempo col registratore, i canti, i giochi, invece di far lezione seriamente.

Nel 1969 ebbi il trasferimento alla scuola media ʺGiovanni XXIIIʺ del quartiere Mercatello, Salerno. Nellʹestate di quellʹanno, insieme a mia moglie Paola, rifeci lʹesperienza del soggiorno a Londra. Di nuovo frequentammo un corso presso lʹʺEuropean Language and Educational Centreʺ di Forest Hill e fummo ospitati da una famiglia molto simpatica. Cercando tra le varie novità dei corsi di inglese, scoprii Look, Listen and Learn di Louis Alexander. Era un corso estremamente innovativo in cui la lingua era presentata in dialoghi accompagnati da vignette che spiegavano un poʹ il contesto generale di situazione. Mi piacque molto e cominciai a studiarmelo. Nel 1970 sarebbe stato poi pubblicato in Italia dalla casa editrice Zanichelli col titolo Language and Life a cura di L. Alexander ed A. Evangelisti. Questo corso diventò molto diffuso negli anni ‘70 e nel 1971 lo adottai come libro di testo alla scuola media ʺGiovanni XXIIIʺ.

Qui, dopo alcuni mesi di lavoro e dopo lʹepisodio dei ragazzi che cantavano accompagnati dalla fisarmonica, cominciai a riscuotere una certa stima del preside Della Rocca che, pur non condividendo del tutto il mio modo di far lezione, tuttavia apprezzava molto il mio impegno quotidiano. Cominciò, quindi, ad aprire alcuni armadietti e a mostrarmi alcuni sussidi audiovisivi dellʹepoca rigorosamente custoditi sottochiave ʺper non farli rovinareʺ.

ʺProfessore, veda un poʹ. Mi pare che noi abbiamo lo stesso registratore che lei porta da casa. Visto che ‘lo sa usareʹ, se vuole, può utilizzare questo della scuolaʺ. ʺPreside, ma è tutto pieno di polvere! Eʹ stato mai usato?ʺ ʺNo, credo che non sia stato mai usato.ʺ ʺNemmeno dai professori di educazione musicale?ʺ ʺPer lʹamor di Dio! Una volta ho dato un giradischi alla professoressa di musica. Lo ha rotto subito. E ancora non è stato riparato.ʺ ʺPreside, così come è, il registratore è inutilizzabile. Va smontato e ripulito. Se vuole, lo porto a casa e lo metto a posto.ʺ ʺA casa? Ma non può uscire dalla scuola! Se andasse perduto o si guastasse, io ne sarei responsabile.ʺ ʺGuastare, si è già guastato. Rubare, non lo ruba nessuno. Ma non cʹè una legge che dice che i presidi sono responsabili anche del mancato uso delle attrezzature didattiche?ʺ

ʺProfessore, lei vuole scherzare sempre. Facciamo così. Domani pomeriggio sarò qui a lavorare. Se vuole ed ha tempo, può venire, le apro lʹarmadietto e lei cerca di sistemare il registratore. Anzi, già che si trova, potrebbe provare anche a riparare il giradischi.ʺ

Lʹindomani pomeriggio andai a scuola, visto che era lʹunico modo per sistemare il registratore ed evitare di portare il mio da casa. Mi aveva anche colpito una certa disponibilità del preside Della Rocca il quale, intriso della idea tradizionale di quello che la scuola doveva essere, dedicava tutte le sue giornate al funzionamento dellʹistituzione che gli avevano affidato.

Avermi dato le chiavi degli armadietti era stato un atto di grande stima e fiducia da parte sua. Scoprii che negli armadietti cʹerano varie attrezzature didattiche inutilizzate: corsi di lingue su dischi a 75 giri, serie di dischi di musica classica e musica da camera per lʹinsegnamento dellʹeducazione musicale, alcuni strumenti per la percussione come il triangolo e il tamburello ed anche una piccola pianola. Cʹera perfino un proiettore per pellicole a passo ridotto da 16mm. Mi misi subito al lavoro. Pulii e feci funzionare il registratore. Senza farlo sapere al preside, portai il giradischi a un tecnico per farlo riparare. Pagai la riparazione, riportai il giradischi a scuola, invitai il preside in una delle mie classe, gli dissi che avevo trovato un corso di inglese su dischi a 75 giri, misi in funzione il giradischi facendo ascoltare una lezione contenente un dialogo che i ragazzi nella classe ripetavano in coro, poi mostrai al preside la ricevuta della spesa sostenuta raccontandogli che, di mia iniziativa, senza che lui ne sapesse niente, avevo fatto riparare il giradischi da un tecnico.

ʺProfessore, lei ha commesso una leggerezza. Immagini cosa sarebbe successo se avesse smarrito il giradischi.ʺ ʺHa ragione, preside. E le chiedo scusa. Però deve convenire che ora il giradischi funziona, possiamo utilizzarlo per lʹascolto del corso che abbiamo trovato ed, inoltre, può essere utilizzato dalle insegnanti di musica, visto che ho trovato diverso materiale didattico per quella disciplina.ʺ ʺPer carità. Quelle lo hanno già rotto una volta.ʺ ʺMa preside, gli strumenti ogni tanto si rompono e vanno riparati.ʺ ʺSenta, professore. Ne parlerò alle insegnanti di musica. Ma se vogliono utilizzare il giradischi lei mi deve fare la cortesia di spiegare loro come si usa e, possibilmente, di essere presente. Insomma, da questo momento lei è il responsabile di tutte le attrezzature didattiche della scuola.ʺ ʺLa ringrazio della fiducia, ma non vorrei interferire con le colleghe.ʺ ʺNon si preoccupi. E chiederò al segretario di trovare il capitolo di spesa che prevede la riparazione delle attrezzature didattiche per farle rimborsare la spesa sostenuta. Eʹ una seccatura, ma non può rimetterci i suoi soldi.ʺ ʺLa prego, se è così complicato, non si preoccupi. Come vede la spesa è stata molto contenuta.ʺ

Dopo alcuni mesi, forse perché si era sparsa la voce che i miei studenti ascoltavano dialoghi e altro materiale linguistico da registratore e giradischi e, a loro volta, cominciavano a recitare dialoghi in inglese, altri due colleghi mi chiesero informazioni su questo corso di lingua che avevo trovato a scuola, sul registratore, sul giradischi e su come fare per utilizzarli. Preparai un piano a secondo dellʹorario, e a turni, cominciammo ad utilizzare tutti e tre il materiale a disposizione. Il preside cominciò ad essere entusiasta dei risultati ma ancora non voleva che gli altri colleghi avessero la chiave degli armadietti. Era sempre terrorizzato dallʹidea che qualcosa venisse trafugata o rotta. Perciò dovetti accollarmi per tutto lʹanno scolastico, tutte le mattine, lʹonore e lʹonere di aprire gli armadietti, prendere il materiale, e rimetterlo a posto alla fine delle lezioni. Dopo un poʹ confesso di aver dato copia della chiave al fidato collega Ceres, in modo che potesse accedere autonomamente agli armadietti, anche nelle ore in cui ero impegnato o avevo finito le mie lezioni, naturalmente sempre sperando che non trafugasse il vecchio giradischi o il vecchio registratore!

Il proiettore mi attirava molto. Ne ero affascinato. Un pomeriggio provai a farlo funzionare, ma non ci riuscii. Riprovai ancora e, questa volta con lʹaiuto di un vecchio e simpatico bidello, don Pietro, riuscimmo a capire che, probabilmente, la lampada era rotta. Era una lampada particolare. La tolsi dal registratore e me la misi in tasca. Girai per vari negozi, ma non riuscii a trovare una lampada identica.

A Napoli, al British Council, trovai diversi film documentari a passo ridotto che potevo prendere in prestito. Sarebbe stato bellissimo, ma non avevo la lampada. Finalmente un giorno ne parlai ad un usciere del provveditorato, certo DʹAgostino, che aveva anche un negozio di fotografo. Mi disse che si interessava anche di riparazione di proiettori cinematografici. Gli mostrai la lampada e mi disse che lʹavrebbe procurata. Anzi che era meglio averne due, nel caso una si fosse fulminata. Dopo qualche tempo le lampade arrivarono. Le pagai, non costavano poco, andai a scuola e provai subito il proiettore. Funzionava. Era bellissimo. Telefonai al British Council per avere un film in prestito. Mi dissero che me lʹavrebbero prestato volentieri per 15 giorni ma avrei dovuto ritirarlo di persona e firmare una serie di moduli. Il giorno libero dalle lezioni, presi un autobus della SITA e andai a Napoli. Presi il documentario in prestito, era una enorme pesante pizza ‐ così si chiamavano le pellicole avvolte ‐ e ritornai a Salerno. Il pomeriggio successivo, sempre insieme a don Pietro, mio complice, provai a proiettare il film su una parete bianca. Funzionava benissimo. I colori erano un poʹ smorti, ma si poteva procedere. Era un documentario sulla vita e sulle opere del pittore inglese Constable.

ʺPreside, le annuncio che ho organizzato una sorpresa per venerdì pomeriggio alle ore 17. Avrei bisogno della sala dove teniamo le riunioni del collegio dei docenti. Mi farebbe piacere se lei e altri docenti volessero essere presenti.ʺ ʺE di cosa si tratta.ʺ ʺEʹuna sorpresa. Allora cosa ne dice? Posso utilizzare lʹaula grande?ʺ ʺIl professore Papa è sempre piano di sorprese. Certamente. Tanto io sono sempre qui a lavorare. Con piacere verrò a vedere di cosa si tratta.ʺ

Il venerdì pomeriggio invitai due mie classi, due terze, non ne potevo invitare altre perché lo spazio era molto limitato. Con lʹaiuto di don Pietro, misi il proiettore su un trespolo, montai la pellicola, e liberai dalle carte geografiche la parete di fronte.

ʺRingrazio il preside per avermi concesso lʹuso di questa aula, il preside stesso per essere presente, i colleghi, il segretario e i ragazzi che sono intervenuti. Oggi, per la prima volta alla scuola media ʺGiovanni XXIIIʺ verrà utilizzato uno strumento didattico restaurato e riportato alla vita da don Pietro e da me. Il proiettore a passo ridotto da 16mm. Don Pietro, possiamo procedere.ʺ

Il solerte bidello, anche lui motivato ed emozionato per essere stato a sua volta coinvolto in unʹoperazione che non fosse di mera routine quotidiana, spegne le luci, gira la manopola e la pellicola cominicia a girare. Immagini a colori di Constable e delle sue opere appaiono sulla parete. Una voce calda in lingua inglese accompagna il documentario. Nessuno capisce niente. Il documentario in se stesso è abbastanza noioso. Pur tuttavia tutti sono interessati da quello che succede. Dopo pochi minuti, chiedo a don Pietro di fermare la pellicola.

ʺSignore e signori, state vedendo un documentario sul pittore inglese John Constable. Se non avete dimestichezza con lʹinglese, probabilmente non avete capito gran chè di quello che è stato detto. Se siete dʹaccordo, possiamo procedere in questo modo per un poʹ. Don Pietro fa scorrere il filmato per due minuti ed io vi traduco il commento. Poi vedrete che è più facile. Andiamo.ʺ

ʺJohn Constable, 1776‐1837, is generally considered one of the greatest English landscape painters. He originated the kind of landscape painting that still looks most natural.ʺ ʺJohn Constable, nato nel 1776 e morto nel 1837, è generalmente considerato uno dei più grandi paesaggisti inglesi. Diede origine al tipo di pittura paesaggistica che ancora oggi sembra molto naturale.ʺ

ʺPainters before him had painted landscapes in brown tones. When Constable used green for grass and leaves, his colours seemed bright and vivid. He achieved this naturalness because he painted preparatory studies outdoors. Landscape painters who influenced him, such as the Dutch masters, painted in studios.ʺ

ʺPittori prima di lui avevano dipinto i paesaggi in tonalità marroni. Quando Constable usò il verde per dipingere lʹerba e le foglie, i suoi colori apparvero luminosi e vivaci. Raggiunse questa naturalezza perché dipingeva tutti gli studi preparatori allʹesterno. I paesaggisti che avevano avuto influenza su di lui, come i grandi maestri fiamminghi, dipingevano invece allʹinterno, nei loro studi.ʺ ʺ... Ora viene una parte più facile. Infatti vengono mostrati e illustrate alcune opere di Constable. Certamente comprenderete ‘This is the Cornfieldʺ, ‘ il Campo di granoʹ

ʺAnd this is the beautiful ‘Hampstead Heathʹ. This painting is called ‘View of Suffolkʹ. Constable was born in Suffolk.ʺ

ʺEra nato a Suffolk?ʺ ʺBrava, Natalia. Visto che hai capito? Allʹinizio capirete solo qualche parola. Poi, pian piano, naturalmente col mio aiuto, vedrete che capirete molto di più. E poi considerate che questo filmato è un documentario. I documentari possono essere un poʹ noiosi. Ma quando mi procurerò dei film a soggetto, anche se in bianco e nero, vedrete che i dialoghi sono vivaci e più semplici da seguire.ʺ

Proseguii per altri tre mesi dellʹanno scolastico 1969/70 a proiettare un film al mese, film sempre in lingua inglese presi in prestito dal British Council di Napoli. In tutte e tre le occasioni riuscii a procurami, sempre al British Council, il testo dei dialoghi che gli studenti ascoltavano guardando il filmato. Col film di marzo presentai il testo scritto prima di vedere il film, mentre in occasione del film di aprile decisi di mostrare il testo dei dialoghi agli studenti dopo che essi avevano visto il filmato. In occasione del film di maggio, mi venne lʹidea di togliere alcune parole molto comuni dal testo ‐ oggi si chiama esercizio di completamento ‐ e chiesi ai ragazzi di cercare di ‘indovinareʹ le parole da inserire. Poi mostrai la relativa scena e gli studenti controllavano se le parole inserite erano quelle giuste o no. In alcuni casi, quando i dialoghi erano particolarmente vivaci e brillanti, chiedevo ai ragazzi di imparare i testi a memoria e di recitare poi la scena o le scene davanti alla classe, che rappresentava il primo pubblico. Lʹattività si mostrò molto proficua non solo sul piano dellʹapprendimento linguistico, ma soprattutto sul piano dellʹacquisizione di quello che gli inglesi chiamano ʺself confidenceʺ, fiducia in se stessi, caratteristica fondamentale per chiunque voglia parlare una lingua straniera. I ragazzi acquisivano disinvoltura ad esprimersi nella lingua straniera ed anche a parlare in pubblico.

Parlai ad unʹamica, Bianca Rossi, dei risultati raggiunti con gli studenti. Bianca era una professoressa di inglese, tra le più brave, esperte e preparate di Salerno. Rimase subito colpita dallʹidea e mi chiese di organizzare la proiezione dei film in inglese anche per i colleghi di lingua. Discutemmo in seguito con altre colleghe e colleghi di questa possibilità. Il problema era trovare il luogo adatto. Nella scuola dove insegnavo non era possibile, perché i pomeriggi erano già impegnati e il preside non voleva altre seccature. Finalmente trovammo nel quartiere di Pastena un locale gestito da un collega, prof. Claudio Roscia, oggi giornalista sportivo. Nel locale, non so perché cʹera un proiettore cinematografico. Parlammo con Roscia e fondammo un club che richiedeva il versamento di una quota mensile. Aderirono diversi insegnanti e, una volta ogni quindici giorni, veniva proiettato un film a soggetto in lingua inglese che Claudio prendeva in fitto a Napoli. Dopo i primi entusiasmi, però, lʹinteresse cominciò a scemare perché i colleghi trovavano molto complicati i dialoghi dei filmati e difficili da capire. Il problema era che tutti noi avevamo studiato inglese allʹuniversità, ma sempre col metodo grammaticale‐traduttivo. Avevamo, quindi, una buona preparazione nella comprensione della lingua scritta ma una preparazione quasi inesistente nella comprensione della lingua orale.

Naturalmente a questo dato di fatto incontrovertibile si aggiungevano remore di ordine psicologico. Solo due o tre colleghi ammettevano questa scarsa preparazione in lingua orale e, con umiltà, cercavano, ascoltando radio, cassette e film, di colmare la lacuna. La maggior parte dei colleghi, invece, cercava di giustificare la mancata comprensione delle battute dicendo che il film era in americano, o che le battute erano troppo veloci, o che lʹaudio era scarso. Dopo qualche tempo, visto che eravamo solo tre o quattro colleghi e la spesa del fitto dei film era troppo elevata, chiudemmo il club. Quella fu la prima e lʹultima esperienza, almeno che io sappia, di proiettare film in lingua inglese nella nostra città. Eppure oggi ci sarebbe una notevole richiesta!

La scoperta dellʹesistenza di queste attrezzature didattiche nella nostra scuola media suscitò lʹinteresse e, in qualche caso lʹentusiasmo, anche di altri colleghi. Ricordo che attraverso lʹIRI e la Provincia di Salerno, riuscimmo a procurarci documentari, questa volta in italiano, sulla ricerca petrolifera, sui grandi complessi industriali, sulla storia dellʹarte nel nostro paese e vari altri argomenti. Negli anni successivi, a volte di mattina, a volte di pomeriggio, in ore in cui andavamo a scuola non pagati ‐ non cʹera ancora il tempo prolungato nè le ore di recupero ‐ io e alcuni miei colleghi, a turno, proiettavamo questi filmati alle varie classi. Costituivano la base per alcune ricerche o approfondimenti molto interessanti per ricerche già fatte. Il preside era molto coinvolto e fiero di tutte queste attività.

Tra gli altri, avevo un collega di educazione tecnica, Franco Ientile, che era un vero artista. Insegnava ai ragazzi a lavorare la ceramica e i ragazzi, singolarmente e in gruppo producevano dei pezzi in ceramica, se non bellissimi in assoluto, certamente bellissimi per loro e per i loro familiari. In seguito, Franco Ientile è diventato un artista affermato nellʹintaglio del corallo e mostre delle sue opere si sono tenute in varie parti del mondo, tra cui il Giappone, dove Franco ha riscosso un bel successo.

Fu un poʹ più difficile coinvolgere i colleghi di educazione musicale. Non volevano usare la pianola che avevo scoperto tra le attrezzature, adducendo varie giustificazioni: era piccola, non aveva ottave a sufficienza, era un poʹ stonata. Capii poi che probabilmente non sapevano suonarla. Ma un insegnante di religione, don Domenico Zito, Mimì per gli amici, mi venne incontro. Quando seppe dellʹesistenza della pianola, la volle vedere. Gliela mostrai, la provò, e convenimmo che era effettivamente un poʹ stonata. Chiese al preside di poterla portare con se in parrocchia per cercare di sistemarla e il preside, sia per i risultati che la scuola stava oramai avendo con lʹuso didattico delle attrezzature in dotazione, sia per il potere religioso del prelato, concesse a Mimì quello che allʹinizio dellʹanno aveva negato a me: gli fece portare in parrocchia la pianola. Don Zito, che era un ottimo musicista, riparò la pianola, la pulì, ne sistemò i toni e la teneva in parrocchia per suonarla e per far cantare i ragazzi in chiesa durante la messa.

Passarono un paio di mesi e ogni volta che chiedevo a Mimì della pianola mi rispondeva che la stava facendo sistemare e presto lʹavremmo avuta a scuola. Una domenica andai a messa nella chiesa dove officiava don Zito e, con mia grande sorpresa frammista ad

ammirazione, vidi Mimì che suonava benissimo la pianola, tra lʹaltro amplificata da un microfono sistemato vicino, e un gruppo di ragazze e ragazzi, anche miei alunni, che cantavano in coro. Alla fine della funzione religiosa mi avvicinai a don Zito e gli parlai.

ʺMimì, complimenti. Suoni benissimo. Ed anche i ragazzi cantano bene in coro.ʺ ʺVeramente ho studiato pianoforte e cantoʺ, disse con molta timidezza Mimì. ʺE vedo anche che la pianola è stata sistemata perfettamente. Visto che sai suonare così bene, mi farebbe piacere preparare con te un coro a scuola con i nostri studenti che cantano canzoni inglesi. Ho in mente, ad esempio, degli spirituals che hanno un profondo significato religioso e che i ragazzi, potrebbero cantare, diretti da te, non allʹunisono ma interpretando ruoli diversi.ʺ ʺVolentieri, ma sai, sono molto impegnato. Non so se ...ʺ ʺMimì, ci vediamo domani a scuola e ne parliamo. E non dimenticare la pianola. Il preside sarà felice di sapere che è stata sistemata.ʺ ʺVeramente... qui mi è utile.ʺ ʺMimì, la pianola appartiene alla scuola. Usala quando vuoi, ma intanto portala a scuola domani.ʺ

Così don Zito dovette rassegnarsi e lʹindomani mattina portò la pianola a scuola. Il preside fu felice, anche perché don Zito disse che la sistemazione non era costata nulla in termini di quattrini, solo in termini di tempo. Un parrocchiano accordatore lo aveva aiutato cortesemente a sistemare la pianola gratis.

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