Capitolo XIV

Seminario all’Università di New York

 

Nel 1985, insieme a molti docenti dei primi corsi del Progetto Speciale, fui invitato ad andare di nuovo in America, all’Università di New York, per un corso di aggiornamento riservato ai formatori di lunga esperienza. Il corso si sarebbe tenuto nei mesi di luglio e agosto del 1985. Sorse però una difficoltà per me e Sirio Di Giuliomaria. Sirio mi telefonò subito.

“A Mario, hai avuto l’invito per annà a New York?”

“Si, che bello. Andiamo insieme?”

“Aspetta un momento. Tu hai ricevuto i dettagli di quello che copre la borsa di studio?”

“No, ho ricevuto solo la lettera che mi annunciava di essere stato prescelto, insieme ad altri 25 colleghi, per beneficiare di una borsa di studio “Fullbright”. La borsa di studio dovrebbe coprire i costi per seguire un corso di specializzazione presso l’università di New York. Giusto?”

“Ora ti arriverà una seconda lettera dove sono specificati i dettagli delle spese coperte dalla borsa di studio. E per me e per te c’è una sorpresa.”

“Quale sorpresa?”

“Al ministero dicono che noi dobbiamo pagarci il viaggio perché abbiamo già beneficiato di una borsa di studio “Fullbright.”

“E perché dovremmo pagarcelo solo noi ‘sto viaggio, visto che tutti gli altri colleghi sono già stati negli Stati Uniti nel 1978 o nel 1979?”

“Ma quella non era una borsa “Fullbright”, mentre noi ci siamo stati in un secondo momento con una borsa “Fullbright.”

“E che c’entra? Quella non aveva niente a che fare con i corsi di aggiornamento!”

“L’ho già detto, ma al ministero ci’hanno ‘na capoccia. Sai che faccio? Nun ce vado.”

“Sirio, ma che sei scemo? Ma comme’, in America! E nun ‘ce vuò ì?”

“Me devono pagà er biglietto.”

“E va buò, Sirio, ‘stu biglietto ciu pavamm’ nuie.”

“Però, per protesta, al ministero dico che partiamo 15 giorni dopo e facciamo quello che ce pare.”

“Si, è vero, tengo ancora da fa ca’ scol’ fino a metà luglio. Partiamo a metà luglio, va buon’? Ma poi al ministero accetteranno?”

“Vedrai che accetteranno, anche perché hanno bisogno di noi. E se no, ce pagano er biglietto.”

 

A metà luglio del 1985 Sirio ed io partimmo per New York. L’università era ubicata nel Greenwich Village. Per quanto riguardava l’alloggio era previsto che io avrei diviso una camera con bagno e cucina con Giuliano Iantorno, e Sirio sarebbe stato, ovviamente, con la moglie Maria che era già partita con gli altri nostri colleghi quindici giorni prima. Io e Sirio arrivammo all’università di domenica sera tardi. Non trovammo i nostri amici i quali erano tutti andati in gita a Boston. Eravamo stanchi e decidemmo di mangiare qualcosa in camera, perché pensammo che certamente avremmo trovato qualcosa nel frigorifero di cucina. Quando entrai nell’appartamentino che dovevo condividere con Giuliano ebbi subito una sorpresa nell’aprire il frigorifero. Era completamente vuoto! Sopra il frigo c’era un biglietto. “Caro Mario”, diceva, “Welcome to New York! Come vedi il frigorifero è vuoto, perché il campus è infestato di cockroaches (scarafaggi, per chi non conosce l’inglese). A me fanno schifo e siccome ne ho trovato uno nel frigorifero, ho deciso di buttare tutto quello che c’era dentro e di non conservare nulla. Non lontano da noi c’è un posto aperto tutta la notte dove potrai trovare qualcosa da mangiare. Ci vediamo lunedì, al mio ritorno da Boston. Giuliano”. Il fatto abbastanza singolare, tra l’altro, era che l’edificio del campus dove eravamo alloggiati aveva una trentina di piani e, ironia della sorte, io e Giuliano eravamo stati sistemati al pian terreno, con una finestra che affacciava accanto all’ingresso. Pertanto gli scarafaggi avevano facile accesso al nostro alloggio. Inoltre, io e Giuliano, inevitabilmente ascoltavamo i discorsi di tutti i residenti che si fermavano di sera tardi a chiacchierare accanto alla nostra finestra.

Gli scarafaggi effettivamente rappresentavano un problema. Una mattina venne un tizio vestito come una specie di astronauta-palombaro. Era tutto bardato con una tuta e aveva una specie di scafandro sul capo. Era lo Sterminator! Lo aveva chiamato Giuliano! Su richiesta, lo sterminator veniva a ripulire l’alloggio dagli scarafaggi e a disinfettare tutto. Qualche risultato l’ottenemmo. Ma di tanto in tanto uno scarafaggio ricompariva da qualche parte, ma mai nel frigorifero! Quella era stata una fantasia di Giuliano che, suggestionato dagli scarafaggi che aveva trovato al suo arrivo, li vedeva oramai dappertutto. Erano diventati per lui un incubo. Un giorno tornò con una pistola.

“Giuliano, che fai, ti sei armato?”

“Si, è una speciale pistola contro gli scarafaggi.”

“Contro gli scarafaggi? E come funziona?”

“Si mette del veleno al posto delle pallottole, e quando compare uno scarafaggio gli sparo addosso il veleno e lo uccido.”

“Over’! Ma funziona? Giulià’, a me me pare ‘na strunzata.”

“Ma che dici? Mo’ te facce verè io! Uì llann’ ‘nu cockroach, mo ‘nciu facce verè io. Tiè, pigliete chest.” E Giuliano sparò una pistolettata di veleno contro lo scarafaggio.

Ma lo scarafaggio proseguiva imperterrito nel suo giro di ricognizione alla ricerca di cibo o di altri suoi simili. Giuliano lo inseguiva, sparandogli veleno, ma lo scarafaggio teneva duro. Io ero steso sul mio letto. Ad un certo punto presi uno zoccolo di legno, di quelli che si usano per la doccia, che avevo li accanto al letto, e lo tirai al cockroach, centrandolo in pieno e ponendo così fine alle sue scorribande.

Fu comunque un soggiorno interessante. Il corso che seguivamo era incentrato sulla lingua e cultura americana. Greenwich Village è un bel posto e ci stavamo bene. La sera uscivamo insieme ad altri amici. A volte andavamo in qualche locale ad ascoltare musica. Un lunedì sera andammo al Michael’s Pub dove sapevamo che si esibiva Woody Allen al clarinetto insieme alla sua band. Con Giuliano ed altri amici ascoltammo ottima musica ed ebbi anche l’autografo da Woody Allen e da tutti i componenti della sua band. Mi sorprese, nell’atteggiamento di Woody Allen, il fatto che suonasse il clarinetto sempre seduto e senza sorridere mai!

Non lontano dal campus c’era un gelataio che faceva ottimi gelati. Questo gelataio aveva anche un vecchio pianoforte e, per attirare i clienti, ogni sera esponeva una lavagnetta con il titolo di una vecchia canzone. Chi riusciva a suonare la canzone aveva una paio di scoop (porzioni di gelato prese con una specie di cucchiaio rotondo) gratis. Ogni volta che passavamo di li, tutti chiedevano a Giuliano, vecchio musicista, se conosceva la canzone scritta sulla lavagnetta. Purtroppo neppure Giuliano conosceva le canzoni perché queste ultime erano appositamente e furbescamente scelte dal gelataio tra un repertorio vecchio e poco noto. Altrimenti avrebbe dovuto offrire il gelato a molti clienti. Una sera eravamo insieme io, Raffaele Sanzo, Sirio ed altri amici. Ad un certo punto passammo vicino all’ormai famoso gelataio e qualcuno entrò per comprarsi un gelato. Fuori ovviamente era esposta la solita lavagnetta con la solita canzone sconosciuta. Io ero fuori a chiacchierare con gli amici. Ad un tratto sentimmo suonare il pianoforte e la voce di Raffaele cantare una canzone americana. Il gelataio, però, gli disse che la canzone non era quella esposta sulla lavagnetta e , quindi, non avrebbe potuto dargli gli scoop di gelato. Allora Raffaele gli fece una proposta che traduco più o meno in italiano.

“Senta, io conosco la canzone Down by the Riverside e la so cantare. Li fuori c’è uno che la sa suonare. Se eseguiamo questa canzone insieme, Lei ci dà gli scoop?”

“Davvero?”, disse il gelataio, “se lo fate gli scoop sono assicurati.”

Allora Raffaele venne fuori dalla gelateria.

“Mario, vieni un momento qui dentro e suona Down by the Riverside. Ti faccio avere lo scoop di gelato!”

Entrai e cominciammo a suonare e a cantare la canzone. Fu un successo. Il gelataio ci diede gli scoop pattuiti e, a quel punto, tutti i nostri amici volevano uno scoop gratuito, in qualità di amici dei musicisti. Ma il gelataio non si commosse e volle essere pagato per tutti i gelati, tranne quelli mio e di Raffaele. Quando tornammo all’università e incontrammo Giuliano, gli raccontammo della nostra performance, prendendolo in giro perché, lui, unico vero musicista tra di noi, non era mai riuscito a prendere gli scoop gratis, mentre Raffaele ed io c’eravamo riusciti!

A volte Raffaele e Ninni Alagna preparavano uno spaghetti party nel loro alloggio. Imparai così a mangiare chi spaghetti aglio, olio, peperoncino e parmigiano, come usano fare i siciliani. Devo dire che gli spaghetti erano buonissimi e da quel momento ho sempre messo il parmigiano sugli spaghetti con aglio e olio.